LA TUA POLEMICA NEL BLOG?

Prenota il tuo spazio qui. INFO

lunedì 11 marzo 2024

L' Intervista all'ex Direttore della Casa Circondariale di Terni

In occasione del 207° anno della fondazione del Corpo di Polizia Penitenziaria abbiamo incontrato un uomo che ha passato la sua vita nell'amministrazione penitenziaria. Un'amministrazione per quello che è stata, per quella che è oggi e per gli obiettivi che si è prefissa a medio e lungo termine di raggiungere. L'istituzione carcere in questi anni è cambiata da luogo lontano dalla realtà fino a diventare un centro di condivisione dei problemi della società e pronta a reintegrare quei soggetti che hanno bisogno di un'altra possibilità. Il carcere nel passato era lo specchio della società, oggi le parti sono invertite e forse la società è diventata lo stesso specchio riflesso del carcere. Una considerazione degna di essere approfondita e per entrare in un modo cosi' complesso e sconosciuto all'opinione pubblica solamente chi ha vissuto in prima linea può in maniera esemplare raccontare la time line dei cambiamenti. Francesco Dell’Aira è entrato nell'amministrazione penitenziaria nel 1971, ha vissuto la realtà penitenziaria prima e dopo la riforma penitenziaria del 1975. Una memoria storica per una analisi di confronto fra il sistema precedente afflittivo e quello vigente rieducativo. Nell’Amministrazione penitenziaria ha vissuto una lunga esperienza a Spoleto (dal 1971 al 1996). Ha effettuato vari servizi di missione negli Istituti di Ascoli Piceno, Porto Azzurro, Capraia, Gorgona, San Gimignano, Arezzo, Perugia, Orvieto, Reggio Emilia, Camerino svolgendo corsi di formazione e docenze nelle scuole dell'amministrazione. Dal 1996 è stato Direttore del carcere di Sabbione per 14 anni, un lungo periodo durante il quale ha incrociato sofferenze, speranze, uomini disperati, ma anche pronti a rimettersi in gioco per chiudere i conti con il passato e dare una svolta positiva alla propria vita. Durante la sua quarantennale carriera ha ricevuto le onorificenze di Cavaliere (1986) e Ufficiale (2012). Undici fa la cerimonia per il suo pensionamento, alla quale hanno preso parte il Sindaco Di Girolamo, il Presidente del consiglio comunale Giorgio Finocchio, il Presidente regionale Eros Brega e tantissime autorità civili e militari dove gli è stato consegnato il Thyrus d'oro, premio onorario del comune di Terni. 

Il suo pensiero resta impresso sulla porta di ingresso dell’istituto di Terni: «Chi salva un uomo salva il mondo ed anche se stesso».   

 

 Direttore per tanti anni, sempre pronto all'innovazione, che ricordo ha della sua esperienza, i penitenziari di Spoleto e Terni come sono cambiati?

 

Mi chiedo, in apertura di questo intervento, se parlare ancora di carcere abbia una sua utilità. Nei fatti la stampa se ne interessa nei momenti in cui la questione ha un certo appeal, capacità di attrazione, ma è di tutta evidenza che questo serve ad alimentare più una forma di curiosità e non già a stimolare un tentativo di agire per porre rimedio alle problematiche che ne dovrebbero derivare. Del resto siamo ormai vittime di una infinità di comunicazioni o di informazioni provenienti da un esercito di tuttologi che verosimilmente sanno molto su quello che si dice ma poco su cosa accade. Ovidio nelle metamorfosi dice verum velle parum est: di buone volontà è pieno l’inferno, che può significare che non bisogna fermarsi all’individuare buoni propositi, ma bisogna portarli a compimento. E’ un atteggiamento tipico dell’essere umano prefissarsi diversi obiettivi, spinti da un entusiasmo iniziale, per poi abbandonarli tutti strada facendo. Avendo quindi ben presente il terreno sul quale ci si muove vorrei fare qualche riflessione sulla base della mia esperienza in quaranta anni di servizio nell’amministrazione della Giustizia ed in special modo per il proficuo periodo trascorso alla Direzione della Casa Circondariale di Terni, ma soprattutto perché ho creduto sempre nel principio costituzionale che la pena deve tendere alla rieducazione e questo può avvenire solo riconoscendo dignità alle persone in qualunque status si trovino. Meglio di quanto possa io esprimere voglio iniziare citando l’intervento del Presidente Giorgio Napolitano in occasione della visita del 28 settembre 2013 ai detenuti reclusi nel carcere di Poggioreale: «è giustizia - disse Napolitano all’intera comunità penitenziaria - pretendere e ottenere pene severe per chi commette reati. È giustizia reprimere i reati. Ma non è giustizia condannare tutti voi a una reclusione che non sia dignitosa. È una prassi che contrasta con la Costituzione». Pochi giorni dopo, l’8 ottobre del 2013, il Presidente si rivolse così per la prima volta al Parlamento (l’ultimo messaggio alle Camere lo aveva pronunciato Carlo Azeglio Ciampi otto anni prima) e lo fece parlando di amnistia, indulto, pene alternative e depenalizzazione. Nel definire drammatica la questione carceraria partì dal fatto di eccezionale rilievo costituito dal pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo. Un appello che la politica ignorò allora e continua ad ignorare ancora oggi. Per ultimo il più recente intervento del Presidente Sergio Mattarella nel messaggio di fine anno: «solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace: i valori, che la Costituzione pone a base della nostra convivenza li vedo nella passione civile di persone che, lontano dai riflettori, della notorietà, lavorano per dare speranza e dignità a chi è in carcere. A loro esprimo la riconoscenza della Repubblica. Perché le loro storie raccontano già il nostro futuro». 

 



Carcere, luogo di esecuzione della pena e del trattamento, differenze oggi con il passato?

 

Su tali considerazioni una breve panoramica con tre brevi flash – a titolo meramente esemplificativo - sulle questioni che oggi sono poste all’attenzione anche dalla stampa.

 

La prima: la fallibilità dell’amministrazione della giustizia e la sua lentezza. Il riformista nell'edizione del 5 marzo 2024 scrive: «la vicenda giudiziaria di Beniamino Zuncheddu ha scosso la coscienza collettiva. Arrestato a 27 anni per una strage mai commessa, ha sopportato per 33 interminabili anni l’ingiusta privazione della sua libertà. Come sempre, la nuda aritmetica è idonea a offrirci una prima, efficace, rappresentazione fotografica del fenomeno. E le immagini sono allarmanti. Negli ultimi trent’anni sono state detenute ingiustamente circa 30.000 persone, 1.000 all’anno, con una media di tre al giorno. Lo Stato ha corrisposto quasi un miliardo di euro di indennizzo nei confronti delle vittime della (in)giustizia».

La seconda: l'Ansa il 4 marzo 2024 scrive: «nei primi di marzo sono già 20 i detenuti che si sono tolti la vita negli istituti penitenziari. Quasi un suicidio ogni due giorni. Numeri che denotano un problema sociale non più procrastinabile in preoccupante e progressiva ascesa ormai da anni».

La terza: La Stampa nell'edizione del 4 marzo 2024 parla delle gravi situazioni nelle quali opera il personale della Polizia penitenziaria: partiamo da qualche dato. Solo nel 2023 sono stati oltre 1800 gli agenti aggrediti con una prognosi superiore ai sette giorni poiché picchiati da detenuti. Una media di cinque al giorno. Il sindacalista intervistato continua parlando di turni infiniti, aggressioni e violenza psicologica: ecco le condizioni nelle quali lavora oggi la polizia penitenziaria italiana. Per i sindacati, si tratta di condizioni inaccettabili. Tutto ciò dal punto di vista psicologico è devastante. Egli ritiene che tutte queste criticità sono frutto di due problemi. La prima è la carenza di agenti: le nuove assunzioni non tengono conto delle unità che sono andate in pensione: sostanzialmente gli organici sono rimasti invariati e sono necessarie almeno 14 mila assunzioni per tamponare la situazione. La seconda invece riguarda il dilagare della criminalità negli istituti. Certamente queste considerazioni non sono esaustive delle questioni profonde e concrete che possono rappresentare compiutamente i principi della congruenza del sistema penitenziario rispetto alla normativa nazionale e di quella europea. Occorre invece affrontare, ma con un approccio sistemico, le macro questioni inerenti il costante aumento del sovraffollamento carcerario, le consistenti carenze organiche del personale dei vari comparti, la presenza attiva ed ormai indispensabile del Volontariato, dell’associazionismo, degli Enti locali nonché i deficit strutturali della gran parte delle nostre carceri.

 

 

La politica sempre assente per il mondo penitenziario trincerandosi tra edilizia penitenziaria e riordini, perché?

 

L’ordinamento penitenziario del 1975 si proponeva di considerare il sistema penitenziario nella sua complessa realtà che coinvolge giustizia, processo penale, organizzazione degli spazi e tutela del principio rieducativo, ma anche sistema di interrelazioni con il personale che vi opera, con il volontariato, con il territorio e con le risorse economiche. Per ragioni assolutamente diverse da quelle auspicate dal legislatore, che potremmo definire di carattere economico finanziario e di cogente necessità in ordine ad una necessaria programmazione delle priorità del Paese, assistiamo ancora alla trascuratezza rispetto all’obbligo di porre un limite alle violazioni ripetutamente censurate dalla Corte europea. E se ampliamo il panorama ci accorgiamo che la situazione complessiva di breve/medio periodo è ancor più insostenibile e lascia chiaramente intravedere una direzione non più in linea con l’aspetto rieducativo che era l’elemento fondante della riforma del 1975. La stessa gestione dei flussi migratori, ad esempio, si caratterizza sempre più con il solo aspetto custodiale e di contenimento comprimendo e dimenticando il più rilevante e stringente concetto di accoglienza. E’ evidente l’approccio solo dialettico ai problemi e che poggia su due pilastri entrambi instabili: contenere le persone e farle sopravvivere senza prospettive. Presupposti inidonei alla soluzione dei problemi che vengono così solamente spostati in avanti ed aggravati dal continuo depauperamento delle risorse economiche e finanziarie che questo paese non ha. Ancora una volta, paradossalmente si è tornati indietro con un approccio di scomposizione metodica delle singole questioni che quindi vengono affrontate senza tener conto della complessità del sistema, come pure degli effetti collaterali che ogni cambiamento produce. Insomma una operazione parziale e decontestualizzata rispetto agli obbiettivi generali, alla reingegnerizzazione delle procedure, all’analisi completa delle questioni, alle proiezioni scientifiche dei risultati di medio e lungo termine.

 

 

Una considerazione tout court sulla situazione attuale?

 

Diceva un illustre Provveditore regionale che chi si accosta al'istituzione carceraria soffre poi di carcerite. Continuate a sentirmi ancora fortemente interessato ai problemi penitenziari ne è, per quanto mi riguarda, la prova. In questo senso ritengo di dover sottolineare l'urgente esigenza di garantire. una continuità dell’azione governativa nel lungo periodo (indipendentemente dalla alternanza della politica) quanto meno per non stratificare norme su norme senza tener conto di quanto è stato fatto precedentemente e lasciando all’apparato amministrativo burocratico il compito di rendere compatibili interventi che non sono sovrapponibili e, a volte, incompatibili. La Corte europea dei diritti umani ha non solo sottolineato che il sovraffollamento degrada, a livelli intollerabili, la condizione di vita dei detenuti, ma anche che il nostro ordinamento non è in grado di dare risposte sempre efficaci e tempestive alla domanda di tutela dei diritti che proviene dalle persone detenute. La stessa Corte costituzionale ha più volte richiamato il legislatore ad adeguare il sistema di protezione dei diritti della persona detenuta. Spetta infatti alle strutture penitenziarie ed al personale che vi opera, l’incarico di trasformare il dettato normativo in azione garantendo la credibilità dello Stato attraverso il maggiore e determinato rispetto per le regole democratiche che mettono al centro l’uomo. E questo scioglie i dubbi posti in premessa: non è l’uso della forza e la politica della sopraffazione del forte sul debole, ma darà risultati solo la capacità di restituire alla società – in modo trasparente – persone che si sono emendate dalla colpa attraverso un percorso di revisione critica e, soprattutto, fornite di risorse nuove. Soprattutto ricordiamo sempre un principio indiscutibile che violenza genera maggiore violenza. La situazione conflittuale internazionale lo dimostra senza ombra di dubbio. Occorre ancora prendere atto che alla fine del 2023 la situazione carceraria evidenzia una situazione significativa che lascia aperte una serie di più complesse riflessioni che emergono dai dati: i reclusi ancora non condannati definitivamente ed in attesa di primo giudizio risultano ben 9.259 ed questi si aggiungono oltre 6.000 detenuti tra appellanti e ricorrenti. Quindi quasi 16.000 detenuti non condannati definitivamente su una popolazione presente di 60.166 detenuti. Su questi dati e sulle condizioni detentive nelle carceri italiane si impone una ulteriore riflessione che evidenzia anche la forte determinante che deriva dal sistema giudiziario sanzionatorio che va, esemplificandolo succintamente, dalla scrupolosa capacità della fase delle indagini ai ragionevoli tempi del processo. Da qui emerge poi, accanto al problema del continuo aggiungersi di norme penali, una discontinuità nei processi di riforma che pur avvertita viene costantemente rimessa in discussione dal potere legislativo attraverso riforme costantemente smentite e diversamente riformulate. Si apprezza doverosamente l’intervento di quanti, pur con i tempi interminabili e defatiganti della giustizia, continuano a farsi carico delle questioni che incidono sul rispetto della persona. Così La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10 del 2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge sull’ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui che consentano la possibilità di mantenere relazioni affettive riconoscendo ai soggetti legati dalle relazioni medesime la libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto che ne costituisce l’essenza rilevando un ulteriore profilo di irragionevolezza dei limiti della norma censurata ossia -il loro riverberarsi sulle persone che, legate al detenuto da stabile relazione affettiva, vengono limitate nella possibilità di coltivare il rapporto, anche per anni. Si tratta di persone estranee al reato e alla condanna, che subiscono dalla descritta situazione normativa un pregiudizio indiretto- e rammentando che una larga maggioranza degli ordinamenti europei riconosce ormai ai detenuti spazi di espressione dell’affettività intramuraria.

 

 

 Se tornasse al posto di comando quale sarebbe la sua bacchetta magica?

         Nei tredici anni di vita da pensionato mi sono sempre interessato alle questioni penitenziarie ed ho osservato quanto il sistema abbia cambiato il tipo di approccio al principio rieducativo. Condizione che ritengo tuttavia ampiamente giustificata dalla maggiore complessità del sistema socio economico del paese a causa delle continue emergenze che caratterizzano l'attuale momento storico. Per quanto può interessare l'argomento di questa discussione, con rammarico occorre tuttavia osservare che i troppi e tutti pressanti problemi che assillano la nostra società alimentano l’apatia ed il disinteresse del mondo sociale e culturale. Le strategie politiche che si sono succedute hanno determinato un diffuso e vero e proprio senso di impotenza nei detenuti e negli operatori. Come si legge nella rassegna stampa sulle questioni penitenziarie il detenuto chiede in effetti quello che la legge gli riconosce già: giusto e rapido processo, tutela della propria dignità personale e familiare, lavoro, formazione e scolarizzazione. Vorrebbe appropriarsi durante il periodo di detenzione di spazi di libertà quali attività sportiva all’aperto, maggiori momenti di socializzazione in modo aperto e vorrebbe un luogo di pernotto adatto a garantirgli la privacy per le sue riflessioni. Ma la molteplicità degli interessi, il sovraffollamento, la presenza di diverse etnie impediscono che questo sia manifestato con una qualche convinzione o che sia messo a sistema da parte degli stessi attori. Purtroppo sono proprio i detenuti i primi che si sono arresi (e lo dimostrano i fatti di violenza) e questa considerazione dovrebbe far aprire i canali di intervento e di attenzione di una società che è stata culla della civiltà. Ma soprattutto sono proprio gli operatori penitenziari che si sentono stretti in una morsa e depositari di responsabilità ed attese che non riescono a trovare alcuna soddisfazione nemmeno nel giusto riconoscimento del trattamento giuridico ed economico. Forse è giunto il momento di affrontare con profonda umiltà e sincera convergenza politica le questioni importanti e queste che incidono nel profondo dell’animo umano non sono certo le ultime. Per rispondere alla domanda ritengo che nessuno abbia la bacchetta magica e soprattutto che nessuno possa pensare di averla. Posso però parlare della mia azione di direzione. Ricordo di un articolo di stampa nei primi anni della mia direzione di Terni che titolava il Brubaker ternano. In effetti ho sempre cercato di fare ma non prima di aver approfondito quale fosse il contesto, quale il risultato atteso, quali strategie e quali risorse mettere in campo. Sono ancora oggi convinto che occorre costruire un percorso solido di offerte trattamentali e rieducative alle persone che ci sono state affidate, ma con grande attenzione ai bilanciamenti. Rispetto della legge, delle regole umanitarie, dei principi di equilibrio, di mediazione dei conflitti, di valorizzazione della rete di interrelazione con gli enti locali e con il mondo del volontariato sono i valori sui quali dobbiamo convintamente lavorare per costruire una strategia di valorizzazione del concetto di dignità della persona. 

  

 

Le sue ricette per il futuro?


Domanda questa che mi consente di completate il concetto accennato nella risposta precedente. E lo faccio parlando dell’Istituto ternano. Nel mio lungo percorso professionale le condizioni più favorevoli per poter tendere ad una organizzazione amministrativa in linea con quei principi le ho trovate tutte alla fine del 1996 con l’assunzione della direzione dell’istituto di Terni. Aperto da pochissimi anni era nelle condizioni ideali per essere plasmato senza le difficoltà di un cambiamento che, come noto, deve affrontare tante resistenze, passare dalla struttura edilizia all’organizzazione della sua vivibilità. Costituisce inaspettatamente un volano positivo il fatto che nei primi anni di funzionamento l’istituto beneficia, in virtù di specifica normativa che tende a qualificare le grandi opere pubbliche, di un consistente numero di opere d’arte (una fontana, due grandi mosaici, una scultura, tanti quadri). Ulteriore volano viene offerto dal contesto sociale della città (la città dell’accoglienza come la definisce Paolo Raffaelli) estremamente aperto nella direzione di voler fornire sostegno all’opera di rieducazione e quindi prezioso elemento di facilitazione ai progetti pensati, costruiti e realizzati in un clima di condivisione senza attriti. Quasi una gara di solidarietà intorno ad un patrimonio comune di principi. Enti locali, istituzioni pubbliche, volontariato hanno saputo intrecciare con l’istituzione penitenziaria un ciclo virtuoso di interventi di reciproca soddisfazione. In ognuno degli aspetti trattamentali tradizionali: istruzione, lavoro, religione si è riusciti a declinare aspetti innovativi ed intrecci sinergici virtuosi. Il filo conduttore e primo segnale di concretezza operativa, di azione positiva e propositiva ruota intorno alla considerazione che i detenuti devono essere considerati risorse (professionali, delle capacità personali, delle esperienze di lavoro e umane), prima per se stessi, per non farli cadere nella facile commiserazione di se e poi per gli altri affinché non li considerino parassiti della società. Il concetto si esplicita quindi molto agevolmente nel lavoro che li rende produttivi, alimenta l’autostima, rinnova gli interessi verso la famiglia (che possono sostenere), li sottrae all’ozio, non li aggroviglia in una esistenza di monotona attesa e fa riscoprire nuovi argomenti di confronto anche nei forzati rapporti interpersonali. Ma come si è appena detto tutto viene pensato tenendo buon conto dei principi legati alla valorizzazione del concetto di dignità della persona. Le strategie usate sono quindi pensate e realizzate con il coinvolgimento attivo della popolazione detenuta che diventa così, pur nei limiti evidenti, attrice e progettista degli interventi. Questo è il valore aggiunto che riteniamo sia il profondo significato che la norma si era proposta con la modifica ordinamentale. Il coinvolgimento e la conseguente responsabilizzazione della popolazione detenuta abbassa i livelli di tensione nei rapporti con l’istituzione ed in un clima poco conflittuale anche gli operatori della sicurezza e del trattamento si dispongono positivamente ad un coinvolgimento dinamico ed efficiente. Nella realtà ternana l’utilizzo esteso del lavoro dei detenuti ha consentito di  realizzare la ristrutturazione e l’adeguamento della struttura attraverso ampliamenti che hanno reso possibile una maggiore offerta trattamentale e migliori condizioni di servizio al personale: nuove e più ampie aule scolastiche e di formazione, teatro, spazi all’esterno per i colloqui con i familiari, officine, una struttura complessa dedicata alle attività sanitarie per le quali si è sempre cercato di assicurare il massimo possibile degli interventi professionali ed assistenziali, un nuovo ufficio matricola, l’adeguamento alla normativa e con maggiore funzionalità di tutti i locali di pernotto, ma anche la realizzazione di spazi riservati al personale (campo sportivo, spazi per il tempo libero, nuova mensa e nuovo bar, sale polivalenti per la formazione), realizzazione di ampi spazi all’esterno destinati alla piantumazione di circa 1.550 alberi, tra olivi, noccioli e frutta ed all’interno con coltivazioni in serra. Lavoro attivo che, evidenziando risultati concreti e visibili, ha accresciuto la valenza del mandato istituzionale affidato agli operatori penitenziari e la loro partecipazione (in un clima di condivisione e spesso di stimolo) alle iniziative nelle quali riconoscevano utilità. Ma questo fiume è riuscito a svilupparsi per l’apporto di tanti affluenti che, si ripete con evidente soddisfazione, non hanno lasciata sola l’amministrazione penitenziaria attraverso un contributo di sostegno sociale, ma anche di risorse economiche e di professionalità. La Comunità Europea e la Cassa delle ammende hanno partecipato al cofinanziamento di alcune opere di interesse strategico. Fra queste, ad esempio, nella realizzazione di un impianto di pannelli solari per la produzione di acqua calda sanitaria. I detenuti, in un percorso durato sei mesi, dapprima hanno frequentato il corso teorico e poi si sono cimentati nella realizzazione dell’opera. Il carcere è diventato così parte della città, pur se una piccola città nella città, e se ne è avuta ulteriore misura quando il catalogo delle opere d’arte presenti a Terni, in questo museo all’aperto ha incluso, fra quelle presenti nell’area urbana, anche la Fontana del maestro Federico Brook (il tempo della memoria) e la scultura realizzata dai detenuti e posizionata nel quartiere di San Valentino (dentro e fuori). In conclusione la ricetta è la continuità e la condivisione.

A chiusura di questa necessariamente concisa esposizione delle immagini e dei ricordi che conservo esprimo, con un forte virtuale abbraccio, un ringraziamento a tutto il personale che non mi ha mai fatto mancare un braccio cui appoggiarmi ed una mente sulla quale contare. Un ringraziamento particolare alla Comunità ternana che ha espresso nelle istituzioni, nelle associazioni e nel singolo volontario un esempio alto dei valori sociali e di solidarietà umana. E grazie al giornalista, ed apprezzato amico, che mi ha dato il piacere di ripercorrere un bel periodo della mia vita.


0 commenti inseriti:

Posta un commento

Commenta la polemica....

ranktrackr.net